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Le 500 lire Caravelle e l'antico fascino dell'argento

Luca Alagna per We-Wealth • Jan 12, 2023

 La moneta da 500 lire in argento, detta Caravelle, è sicuramente una moneta iconica della repubblica italiana

La notorietà di questa moneta è ascrivibile al famoso errore di conio, riconducibile alla direzione delle bandierine, che farebbe acquisire alla moneta un valore importante. Questo aspetto ha messo in secondo piano altri contenuti altrettanto importanti; perché non si parla mai della sua genesi? E ancora perché ci fu un errore? Ancor meno si parla delle monete coniate successivamente, per essere immesse nella circolazione. 



Andiamo con ordine e partiamo dall’anno 1957 e dell’allora ministro del Tesoro, Giuseppe Medici. 

Il ministro aveva in mente un progetto per la coniazione di una moneta in oro dal valore di Lire 10.000, da donare ai parlamentari in sostituzione della solita medaglia ricordo. Purtroppo, le difficoltà politiche ed economiche del periodo, fecero rinviare il progetto che poi venne ripensato verso la fine della legislatura. Il nuovo progetto prevedeva una moneta in argento di “Prova”[1] sicuramente meno dispendiosa. 

Capo incisore della Zecca, in quel periodo, era Pietro Giampaoli. Aveva preparato per una medaglia, un modello con busto femminile in stile rinascimentale, ispirandosi alla propria moglie per il ritratto. 

Questo modello piacque molto al Ministro che lo volle usare come diritto della nuova moneta, rimaneva però aperta la partita per decidere il rovescio. Ci si affidò all’allora giovane, poi divenuto famoso medaglista, Guido Veroi, il quale ebbe l’intuizione di abbinare lo stile rinascimentale del diritto con l’avvenimento che aprì le porte a quel periodo: la scoperta dell’America.

Quale disegno poté unire la migliore tradizione italiana data dalla perseveranza dal genio e dall’audacia, se non le tre caravelle? Pertanto, il passo dai modelli alla coniatura della prova, con data 1957 fu breve e finalmente fu soddisfatto il desiderio dell’allora Ministro di donare a tutti i Parlamentari la moneta con le tre caravelle (figura 1).

Questo dono suscitò non solo clamore ma anche un fiume di complimenti e l’apprezzamento del pubblico; ciononostante un ufficiale di Marina, tale Giusco di Calabria, con una sua lettera indirizzata ad un quotidiano, lamentava che la posizione delle bandiere nel disegno doveva, per via di come il vento gonfiava le vele, essere verso prora e non verso la poppa come nell’incisione della moneta. Ovviamente si accese un dibattito che alla fine portò alla decisione di modificare la posizione delle bandierine nelle emissioni destinate alla circolazione.

Analizziamo ora alcuni dati tecnici come la descrizione, la tiratura, il diametro e il peso. Al diritto abbiamo il busto in stile rinascimentale volto a sinistra e nel giro 19 stemmi di capitali italiane. Al rovescio le tre caravelle con le bandiere rivolte verso sinistra, in basso al centro il valore, intorno REPUBBLICA ITALIANA e a ore sette, la scritta PROVA. Infine, nel contorno in rilievo, la data 1957. Molti cataloghi di numismatica riportano un numero di 1.004 esemplari coniati, ma trattasi di un dato senza riscontro ufficiale, pare invece che non sia stata inferiore ai 2.500 esemplari. Il diametro è di 29,5 mm e il peso di 11 grammi con un titolo di 835 millesimi di argento. Va da sé che trattasi di un pezzo da collezione ambito, con un valore che può variare dai 6.000 ai 10.000 €, a seconda dello stato di conservazione. 

Questo dono suscitò non solo clamore ma anche un fiume di complimenti e l’apprezzamento del pubblico; ciononostante un ufficiale di Marina, tale Giusco di Calabria, con una sua lettera indirizzata ad un quotidiano, lamentava che la posizione delle bandiere nel disegno doveva, per via di come il vento gonfiava le vele, essere verso prora e non verso la poppa come nell’incisione della moneta. Ovviamente si accese un dibattito che alla fine portò alla decisione di modificare la posizione delle bandierine nelle emissioni destinate alla circolazione.

Analizziamo ora alcuni dati tecnici come la descrizione, la tiratura, il diametro e il peso. Al diritto abbiamo il busto in stile rinascimentale volto a sinistra e nel giro 19 stemmi di capitali italiane. Al rovescio le tre caravelle con le bandiere rivolte verso sinistra, in basso al centro il valore, intorno REPUBBLICA ITALIANA e a ore sette, la scritta PROVA. Infine, nel contorno in rilievo, la data 1957. Molti cataloghi di numismatica riportano un numero di 1.004 esemplari coniati, ma trattasi di un dato senza riscontro ufficiale, pare invece che non sia stata inferiore ai 2.500 esemplari. Il diametro è di 29,5 mm e il peso di 11 grammi con un titolo di 835 millesimi di argento. Va da sé che trattasi di un pezzo da collezione ambito, con un valore che può variare dai 6.000 ai 10.000 €, a seconda dello stato di conservazione. 

Dal 1968 al 1970 e dal 1980 al 2001, per il solo mercato collezionistico[2], la zecca ha continuato a coniare le monete in argento da lire 500 caravelle, queste emissioni non hanno mai circolato.


[1] Progetto di una moneta non destinato alla circolazione

[2] Trattasi di monete sigillate in apposite confezioni emesse dall’ istituto poligrafico e zecca dello stato.


Qui il link al nostro articolo online su we-wealth!



https://www.we-wealth.com/news/pleasure-assets/monete-francobolli/le-500-lire-caravelle-e-l-antico-fascino-dell-argento



Figura 1
Figura 2
Figura 3
Figura 4

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Ma avremo modo nei prossimi giorni, dando voce ad alcuni dei protagonisti, di approfondire aspetti fondamentali. Orientamenti in giurisprudenza, prassi viziate, nodi da sciogliere Sul tavolo degli Stati generali una serie di questioni di scottante attualità, dagli orientamenti giurisprudenziali in materia di beni numismatici alle prassi della pubblica amministrazione nel rapporto con i privati e il mercato – prassi spesso viziate da una visione statalista – fino alle normative in fase di discussione e, ovviamente, alle proposte di modifica alle leggi esistenti in modo da poter garantire alla numismatica, gestita in modo etico e responsabile, diritto non solo di esistenza ma anche di sviluppo e di sinergia con lo Stato. Sì, perché uno dei concetti emersi è stato anche – a seguito della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Faro – quel fondamentale passaggio evolutivo dal tradizionale diritto “dei” beni culturali ad un innovativo diritto “ai” beni culturali, in questo caso i beni numismatici, visto nell’ottica della comunità nazionale e dei singoli, dei privati come dei professionisti, come soggetti attivi di tutela. Sala gremita, nei limiti delle normative sanitarie, alla Biblioteca del Senato presso il Palazzo della Minerva a Roma: sul palco si sono alternati oratori istituzionali e privati, professionisti e giuristi Un diritto inalienabile, quello al collezionismo e al commercio di monete, né in nome di una strampalata presunzione di provenienza dal sottosuolo di tutte le monete antiche e medievali – per gran parte, solo passate di mano in mano e sul mercato per secoli – né in nome di quel 1909 ante quem si vorrebbe rendere obbligatorio dimostrare la provenienza di ciò che, invece, è semplicemente stato conservato in patrimoni e raccolte private. 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Dal giudice Francesco Antonio Genovese, presidente della I Sezione della Corte di Cassazione, è venuta una riflessione sulla necessità di ripensare in senso meno statalista i criteri di tutela dei beni numismatici Anche perché, paradossalmente, le azioni dello Stato contro il mercato e il collezionismo ufficiali – che si manifesta in sequestri, ritardi o dinieghi nei certificati di esportazione, dichiarazioni di supposto “pregio” e/o “rarità” per singoli esemplari o intere raccolte – non deriva dal Testo unico dei Beni culturali né da leggi preesistenti e non abrogate bensì, in massima parte, da mere circolari ministeriali che sarebbe bene riscrivere, e in tempi brevi. I Numismatici italiani professionisti, le associazioni professionali internazionali AINP e FENAP, la Società numismatica italiana, l’Accademia italiana di studi numismatici hanno portato le loro voci per testimoniare in Senato, al tempo stesso, la molteplicità e l’unità d’intenti del mondo numismatico, senza contare i tanti, qualificati docenti universitari che hanno mostrato come l’esistenza del collezionismo e del mercato siano fondamentali anche per lo sviluppo della ricerca scientifica (quanto e talvolta più delle raccolte statali, in parte non catalogate nè pubblicate). La passione numismatica, un pilastro del patrimonio pubblico La presenza delle istituzioni è stata del resto anche occasione per ribadire il fondamentale contributo culturale di una plurisecolare tradizione di collezionismo e commercio di monete che tanto ha inciso anche sulla formazione del patrimonio pubblico (anche qui, con le sue monete di Venezia donate al Museo Correr, Papadopoli Aldobrandini insegna). E se lo Stato oggi non dispone – per varie ragioni e facendo le dovute eccezioni – di personale sufficiente o adeguatamente qualificato per discriminare i beni numismatici meritevoli di tutela dai milioni di monete antiche e moderne che circolano legittimamente sul mercato e nelle collezioni, allora che si avvalga della disponibilità di numismatici professionisti ed esperti privati. Una simile pratica, che si potrebbe proporre al Nucleo TPC dei Carabinieri, sarebbe un modo per creare una nuova ed efficace sinergia pubblico-privato; come lo sarebbe individuare – e anche in questo, basterebbero delle circolari ministeriali – delle categorie di materiali numismatici di libera circolazione. E altre proposte non mancano, perchè il collezionismo è imprescindibile per la tutela dei beni numismatici. 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Lo studio della medaglistica, scaturisce dalla passione di unire la storia ad oggetti che hanno fatto parte della storia stessa. La tradizione della medaglia, nasce fin dall’antica Roma per commemorare e ricordare gli avvenimenti e le gesta più importanti dei sovrani, i quali usavano darle in dono durante i ricevimenti o le cerimonie. Generalmente erano di largo diametro, per permettere all’incisore di poter inserire al suo interno il maggior numero di particolari, e in metallo sempre più prezioso secondo il rango di chi lo doveva ricevere. In seguito divennero di uso sempre più comune e popolare soprattutto a carattere religioso, per poi essere usate comunemente anche in ambito militare per ricordare i diversi reggimenti o le loro vittorie.o Per la produzione, nacquero dei veri e propri stabilimenti che si specializzarono nella coniatura di medaglie per enti sia civili che militari.Tra i più importanti ricordiamo la Picchiani e Barlacchi di Firenze e la Ferrea di Genova, ma la più rilevante dal punto di vista artistico e storico, che ha coniato quasi tutte le medaglie per la nostra marina a cavallo tra l’Ottocento e i primi del Novecento, è la Stefano Jhonson di Milano. Per i disegni dei coni, ci si avvaleva spesso della collaborazione di valenti autori e incisori. Lo stabilimento fu fondato dall’ Inglese James Johnson intorno al 1830, come fabbrica di bottoni e stemmi. La prima medaglia prodotta, fu la cosiddetta “Miracolosa”, una piccola medaglia devozionale che ebbe grande diffusione in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. Fu proprio in questo periodo che il figlio di James, Stefano, concentrò l’attività dello stabilimento nella coniazione di medaglie grazie alle committenze di numerose società laiche e religiose che sorsero in quegli anni. Inoltre gli storici avvenimenti del nostro Risorgimento diedero allo stabilimento numerosi spunti da celebrare nelle medaglie. E’ di questi anni la realizzazione della storica medaglia eseguita da Luigi Schieppati su disegno di Francesco Hayez per le Cinque Giornate di Milano. Nel 1879 la direzione passò al figlio di Stefano, Federico. Uomo dotato di grande personalità fu protagonista nel mondo imprenditoriale milanese, fondatore e primo presidente del Touring Club Italiano. Ampliò ulteriormente il reparto incisoria circondandolo di artisti del calibro di Pogliaghi, Bistolfi, Calandra e Boninsegna. La bravura di questi incisori, unita al gusto e l’eleganza del Liberty, portarono anche importanti collaborazioni con la Reale Zecca d’Itali e permisero la coniazione delle più belle medaglie a cavallo tra Ottocento e Novecento, dando slancio e prestigio a livello internazionale allo stabilimento. Il figlio di Federico, che prese il nome del nonno, Stefano fu un grande cultore dell’arte antica ed un esimio collezionista sia di medaglie che di monete antiche. Questi, pur nel difficile periodo a cavallo delle due guerre mondiali, proseguì l’attività dell’azienda mantenendo un rigoroso rispetto dei criteri artistici e di qualità di fabbricazione. Tutte le medaglie prodotte sono marchiate S.Jo. Analizzeremo la bellezza e la cura delle incisioni nei piccoli coni che la Regia Marina commissionò proprio alla Stefano Johnson, nel centenario del primo conflitto Mondiale per commemorare il varo o le gesta di due tipi di navi tra le più efficaci e tipiche per la guerra sui mari di quel periodo: gli esploratori e i cacciatorpediniere. Gli esploratori erano un particolare tipo di nave nato per svolgere l’importante compito della ricognizione, mansione più tardi svolta dall’aviazione. Il primo esploratore della Regia Marina fu il Quarto, rappresentato in una bella medaglia dove per il rovescio, si è ripreso il particolare del quadro del pittore Gerolamo Induino “L'imbarco dei Mille da Quarto” (5 maggio 1860). Inizialmente classificato come nave da battaglia di 4a classe, varato nel 1911 come esploratore, la sua vita operativa si svolse prevalentemente nel corso del primo conflitto mondiale e nell'intervallo tra le due guerre; fu radiato nel 1939. Nel 1911 la Regia Marina si dotò degli esploratori della classe Bixio: Il Nino Bixio e il Marsala. Navi dalle caratteristiche tecniche non eccellenti, furono radiate tra il 1927 e il 1929. La medaglia del Nino Bixio, rappresenta uno schema tipico per le medaglie delle navi: il volto del personaggio illustre da cui il nome e il motto sempre ispirato ad una sua frase celebre. Per recuperare terreno rispetto alle analoghe e migliori unità Austro-Ungariche, nacquero due Classi: la Classe degli esploratori leggeri Alessandro Poerio con tre unità, A. Poerio, C. Rossarol e G. Pepe (tutti impostati nel 1913 nei Cantieri Ansaldo di Genova furono varati nel 1914) e la Classe Carlo Mirabello, C. Mirabello, Carlo Alberto Racchia e Augusto Riboty (impostati tra 1914 e 1915 e varati tra il 1915 e 19162). La medaglia del Rossarol al rovescio, rappresenta Cesare Rossarol ferito in battaglia che esorta gli artiglieri a continuare a combattere per la difesa di Venezia, da cui il motto della nave “Ai vostri pezzi amici”. Questo conio esprime tutta la cura con cui gli incisori della S.J. lavoravano. La medaglia del Riboty non riporta come di consuetudine l’incisione del motto della Nave “Viresque acquirit eundo”, ma fa riferimento al valore dell’ammiraglio A. Riboty, durante la battaglia di Lissa (1866). Per il suo eroico comportamento, venne insignito della medaglia d'oro al valor militare. Tra il 1916 e il 1919 la Regia Marina si dotò della classe Aquila con quattro unità navali Aquila, Sparviero, Nibbio e Falco impostate presso i cantieri Pattison di Napoli. 1 Dovevano in realtà svolgere un servizio molto importante, sicuramente sottostimato dagli alti comandi all’inizio del conflitto, che per lo scopo, utilizzarono anche vecchie e lente navi impiegate durante le guerre coloniali. 2 Due unità della classe Mirabello (Mirabello e Riboty) parteciparono anche alla seconda guerra mondiale. Il Riboty, fu radiato nel 1950. Tra le medaglie coniate in commemorazione di questa classe, spicca la medaglia dell’ Esploratore Aquila. Non presenta il solito profilo o vista di prua della nave, ma solo il nome, il motto e i disegni con simbologie che riconducono ad essa. I Cacciatorpediniere erano navi progettate essenzialmente per svolgere il ruolo di siluranti e scorta alle navi principali. Questo tipo di nave di grande versatilità, fu intensamente impiegata anche in ruoli diversi da quelli per cui era stata progettati. Allo scoppio della prima guerra mondiale, furono riammodernate le vecchie ma ancora efficaci navi della classe Lampo: il Dardo, l’ Ostro, lo Strale, il Lampo e l’ Euro, che svolsero servizio durante la guerra Italo-Turca. Di questo periodo, sono note le sole rare medaglie commemorative della loro partecipazione al conflitto contro l’Impero Ottomano. Gli incisori ripresero il disegno del rovescio da un famoso manifesto del periodo dove un marinaio, con in mano il tricolore, brandisce il gladio preso da uno scheletro di legionario metafora dell’ antica Roma. La minaccia rappresentata dai sottomarini, portò ad una rapida evoluzione tecnica del cacciatorpediniere. Vennero quindi impostate nei Cantieri Odero di Sestri Ponente (Genova) e messe in servizio nel 1917, le quattro unità della classe Sirtori: G. Sirtori, G. Acerbi, V. Orsini, F. Stocco. Anche le 8 unità della classe Giuseppe La Masa: G. La Masa, A. Bassini, A. Bertani, B. Cairoli, G. Carini, N. Fabrizi, G. La Farina e G. Medici, furono impostate negli stessi cantieri e varate tra il 1917 e il 1918. Le unità navali appartenenti a queste due classi furono protagoniste degli eventi bellici della prima guerra mondiale in Adriatico e a seguito di opportuni miglioramenti anche alla seconda guerra mondiale. . Sopravvissute al conflitto il Fabrizi e il Carini, vennero riclassificate dragamine, restando in servizio sino alla seconda metà degli anni cinquanta. Le medaglie di questa classe, vista la longevità operativa, sono numerose e coniate dai diversi stabilimenti utilizzando anche lo stesso disegno originario della S.J. La prima medaglia del Carini è quella coniata dalla Johnson come Cacciatorpediniere, la seconda medaglia come Torpediniera (stab. Picchiani e Barlacchi) R. C.T. G..Carini Torpediniera G. Carini La classe Soldato, derivata dalla classe Nembo, era composta da 11 unità: Bersagliere, Alpino, Artigliere, Ascaro (costruito per la marina imperiale cinese ma acquisito dalla Regia Marina nel 1912), Carabiniere, Corazziere, Fuciliere, Garibaldino, Granatiere, Lanciere e Pontiere. Furono impostati nel 1905 nei cantieri Ansaldo (Genova), tranne l’ Ascaro nel 1911. Le navi di questa classe parteciparono alla guerra italo turca e successivamente alla prima guerra mondiale con la perdita del solo Garibaldino affondato il 16 luglio. Riclassificate Torpediniere nel 1921, vennero radiate tra il 1923 e il 1932 (Fuciliere). Quasi tutte le medaglie di questa classe furono coniate per il varo, hanno il diritto comune, con la sola differenza del nome della nave, mentre il rovescio riporta il motto e i motivi araldici tipici dei corpi militari di riferimento. La medaglia del Granatiere, il cui motto era “A me le guardie per l’onore di casa Savoia”, presenta inciso sul diritto “Pro patria et rege”, motto della medaglia del Bersagliere, probabilmente per l’errato “montaggio” del conio del diritto. La medaglia dell’ Ascaro si differenzia dalle altre, probabilmente perché il suo rovescio, venne incisa la famosa “Carica di Pastrengo” dal celebre quadro del pittore De Albertis. Si coniarono inoltre medaglie senza appiccagnolo di diametro maggiore per la cerimonia della consegna della Bandiera di combattimento avvenuta lo stesso giorno per entrambe le navi. La classe Indomito, venne impostata nei cantieri Pattison di Napoli e Orlando di Livorno. Le 8 unità della classe: Indomito, Ardente, Ardito, Impavido, Impetuoso, Insidioso, Intrepido e Irrequieto, entrarono in servizio fra il 1913 ed il 1914. Parteciparono alla prima guerra mondiale in Adriatico, subendo la sola perdita di due unità (Impetuoso e Intrepido). Declassate a torpediniere nel 1929, furono radiate nel 1937,ad eccezione dell'Insidioso, che andò perduta nella seconda guerra mondiale. Le medaglie emesse hanno in comune, come avvenne per quelle della classe Soldati, il disegno del profilo della nave al diritto e si differenziano solo per il disegno del rovescio. Per nave Insidioso, il motto era “Insidiosus at strenuus” e non “Ardisco non ordisco” come si nota al rovescio. R. C.T. Indomito R. C.T. Insidioso R. C.T. Irrequieto Alcune medaglie, abbandonano lo schema visto sopra e vengono coniate con un diametro e un disegno differente che spesso cambiava più volte durante la vita operativa della nave. Nel caso specifico dell’Impavido abbiamo lo stesso diritto, ma differente rovescio ottenuto copiando il rovescio da uno Statere d’argento4 della zecca di Bruttium Crotone (400-325 a.C.) dove è rappresentato un giovane Ercole, accovacciato, in lotta con due serpenti. R. C.T. Impavido Con sole due unità, Audace e Animoso, si sviluppò il progetto della classe Audace nei cantieri Orlando di Livorno. La prima affondò per collisione nel 1916, la seconda fu radiata nel 1923. Le medaglie sono del tutto identiche, coniate per il varo, presentano il profilo a sinistra della nave mentre al rovescio la Vittoria su prua con i rispettivi motti. 3 Fu catturata dai tedeschi e ribattezzata TA. 21, rientrò in servizio nel novembre 1943. Nell'agosto 1944 fu affondata da unità inglesi in Alto Adriatico. 4 Lo statere d’argento, era una moneta molto in uso nella Magna Grecia. Per ricordare l’unità persa nel 1916, venne ribattezzata Audace, con lo stesso nome, quella originariamente ordinata nel 1913 ai cantieri Yarrow dalla Marina imperiale giapponese. Avrebbe dovuto appartenere alla classe Urakaze e chiamarsi Kawakaze, nel 1916, mentre si trovava ancora in costruzione, venne acquistato dalla Regia Marina. La nave partecipò attivamente alla prima guerra mondiale, svolgendo un servizio molto intenso anche durante la guerra civile spagnola e infine, al secondo conflitto mondiale. Incorporata nella Kriegsmarine e ribattezzato TA 20 nel 1943, affondò in combattimento il 1° novembre 1944. Le medaglie conosciute sono quelle coniate dopo il primo conflitto mondiale. La classe Rosolino Pilo, si presentava con otto unità: R. Pilo, G.C. Abba, P.Bronzetti (poi ribattezzato Giuseppe Dezza5), G. Missori, A. Mosto, I. Nievo, F. Nullo e S. Schiaffino. Completate nel 1915 presso i cantieri Odero di Sestri Ponente a Genova e i Pattison di Napoli, furono molto attive nelle operazioni in Adriatico della prima guerra mondiale. Nel 1918 le unità furono rimodernate e nel 1929, ormai obsolete, furono declassate a torpediniere. Rimaste in sei6, presero parte alla seconda guerra mondiale. Le tre unità superstiti, Abba, Mosto e Pilo, vennero riclassificate dragamine insieme a due unità della Classe La Masa rimanendo in servizio nella Marina Militare. Capitava spesso che venissero “riconiate” delle medaglie da altre ditte del tutto identiche alle originali, la medaglia del G.C. Abba è un esemplare successivo ma identico a quello emesso per il varo dalla Johnson, riconiato probabilmente dalla Picchiani e Barlacchi. R. C.T. G.C. Abba Torpediniera G.C. Abba La Stefano Jhonson coniò medaglie per la nostra marina sino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Lo stabilimento con la maggior parte dei suoi coni e dell’ archivio, andò perduto a causa dei bombardamenti. Trasferitasi, continuò il suo lavoro per tutto il dopoguerra e ancora oggi rappresenta una delle migliori eccellenze nella produzione medaglistica italiana. Finita la Prima guerra Mondiale, la nave fu impiegata per scorta e vigilanza in varie zone del Mediterraneo, in Albania e Montenegro. Il 7 dicembre 1920 l’equipaggio, si ammutinò per porsi agli ordini di Gabriele D'Annunzio nell’ambito dell’impresa di Fiume. Conclusasi la vicenda fiumana, il Bronzetti rientrò a Pola dove fu radiato e poi riscritto nei ruoli della Regia Marina con il nuovo nome di Giuseppe Dezza. 6 Il Nullo e il Nievo, furono radiate nel 1938. Alla fine degli anni cinquanta I motti delle navi e di conseguenza le medaglie, come vediamo negli esemplari del Bronzetti e del Dezza, si ispirano tutte alle gesta o agli scritti dei Patrioti che dovevano commemorare. La cultura della medaglia resiste ancora oggi nella tradizione marinara, vengono sempre coniate e distribuite a bordo delle nostre unità come accadeva un tempo, quasi a voler seguire il filo dell’indissolubilità tra la storia passata e quella che dobbiamo scrivere. Luca Alagna
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